Ingegnere Susanna Balducci, una breve premessa a beneficio di chi legge: che lavoro fai, qual è il tuo ruolo nella Protezione Civile?
Sono il funzionario del Dipartimento regionale della Protezione Civile responsabile dei cosiddetti piani speciali di emergenza: per esempio aeroporto, porto, rischio sanitario e industriale. In particolare, come altri miei colleghi, posso intervenire in emergenze di protezione civile locali, nazionali od internazionali.
Sono il funzionario del Dipartimento regionale della Protezione Civile responsabile dei cosiddetti piani speciali di emergenza: per esempio aeroporto, porto, rischio sanitario e industriale. In particolare, come altri miei colleghi, posso intervenire in emergenze di protezione civile locali, nazionali od internazionali.
Il 12 gennaio 2010 un violento terremoto di magnitudo 7 seguito da numerose repliche di intensità superiore a 5 ha colpito l'entroterra di Haiti in prossimità della capitale. L’impatto sulla popolazione di Haiti è sembrato sin da subito devastante. Come ha reagito alla notizia la Protezione Civile della Regione Marche e quando sono partiti i primi soccorsi verso Haiti?
Dunque... bisogna sottolineare che per interventi in emergenze di questa portata è il Dipartimento nazionale della protezione civile (DPC) che attua il coordinamento delle attivazioni necessarie. Come sempre la Regione Marche si è resa disponibile per quanto potesse essere utile, in particolare alla mobilitazione del proprio ospedale da campo. Però, proprio in quei giorni, era in atto uno sciame sismico che interessava alcune province della nostra regione, così, nonostante il DPC avesse richiesto la nostra immediata attivazione, la Regione Marche ha dato, come ovvio, la priorità al proprio territorio. Questo ha significato la partenza immediata per Haiti del GCU di Pisa, l’associazione di chirurghi volontari che hanno prestato il primo intervento sanitario con la struttura di missione della protezione civile italiana, appoggiatasi, come noto, presso l’area dell’ospedale pediatrico della Fondazione Rava a Port-au Prince.
Dunque... bisogna sottolineare che per interventi in emergenze di questa portata è il Dipartimento nazionale della protezione civile (DPC) che attua il coordinamento delle attivazioni necessarie. Come sempre la Regione Marche si è resa disponibile per quanto potesse essere utile, in particolare alla mobilitazione del proprio ospedale da campo. Però, proprio in quei giorni, era in atto uno sciame sismico che interessava alcune province della nostra regione, così, nonostante il DPC avesse richiesto la nostra immediata attivazione, la Regione Marche ha dato, come ovvio, la priorità al proprio territorio. Questo ha significato la partenza immediata per Haiti del GCU di Pisa, l’associazione di chirurghi volontari che hanno prestato il primo intervento sanitario con la struttura di missione della protezione civile italiana, appoggiatasi, come noto, presso l’area dell’ospedale pediatrico della Fondazione Rava a Port-au Prince.
Anche tu sei stata ad Haiti. Quando sei partita? Dove sei stata precisamente? Dov’eravate collocati? Chi c’era con te?
All’inizio di febbraio, poi, il DPC ha richiesto l’intervento della Regione Marche in termini di logisti, anche volontari, e di medici e infermieri che potessero dare il cambio all’associazione di Pisa per la prosecuzione degli interventi sanitari. La nostra regione ha stipulato una convenzione con l’associazione di volontariato ARES, composta da professionisti sanitari esperti di medicina delle catastrofi ed io sono il funzionario referente per queste attivazioni, di tipo sanitario, in emergenza.
Qual è stato, nello specifico, il tuo compito?
I compiti dei funzionari di protezione civile in emergenza riguardano il coordinamento degli interventi, il raccordo del volontariato con le istituzioni competenti, ma soprattutto spaziano anche sulla base delle specifiche competenze del funzionario e della sua esperienza. Io sono un ingegnere. Noi operatori di protezione civile diciamo, scherzando, che sappiamo spesso per cosa siamo chiamati ad intervenire ma non sappiamo che cosa precisamente dovremo fare. Questo per sottolineare la flessibilità e disponibilità con cui ci viene richiesto di intervenire, naturalmente sulla base di una metodologia di lavoro che contraddistingue il nostro mestiere. In questa emergenza, oltre ad essere l’unico funzionario partito con il team di volontari della Regione Marche per la missione ad Haiti, ho affiancato i vigili del fuoco nella verifica di agibilità di alcuni edifici, ho coordinato il parco mezzi della struttura di missione italiana, ho esercitato il mio francese scolastico quando servivano traduzioni con la gente del posto, ma soprattutto ho studiato una “casetta tipo”, rispondente alle modalità costruttive locali, per aiutare una suora missionaria francescana a migliorare le condizioni di vita degli abitanti della bidonville, ove opera da anni.
Come hai trovato Haiti, come era la situazione dopo il terremoto?
La situazione di Haiti era già grave prima del terremoto. Stavano cercando di insediare un governo, anche con l’aiuto di componenti dell’ONU, ma la situazione economica credo fosse disastrosa. Inoltre il sisma ha distrutto edifici governativi ed amministrativi. La sensazione è quella di avere a che fare con l’anarchia.
Il morale della popolazione? Quali prospettive di ripresa?
La popolazione chiede aiuto ed ha consapevolezza della propria debolezza e miseria, e certo la cultura, la religione, anni di colonialismo e dittatura non li aiutano. La sensazione è di smarrimento.
Tu sei stata in Bangladesh dopo lo tsunami del 26 dicembre 2004, nel 2009 hai partecipato alle attività di soccorso a seguito del terremoto dell’Aquila e sei da poco rientrata da Haiti. Uno dei problemi cronici nella risposta alle catastrofi è il coordinamento degli aiuti e degli interventi. Un problema che si è palesato anche negli USA dopo l’uragano Katrina del 2005. Mi confermi il problema? E se sì come pensi possa risolversi?
Assolutamente sì. Già a seguito dello tsunami del 2004 Bertolaso ed altri esperti avevano sottolineato la necessità di creare un coordinamento a livello internazionale per la risposta alle catastrofi di tale portata. Ad Haiti la mancanza di detto coordinamento, denunciata da Bertolaso nella prima fase dell’emergenza, si è riproposta. Non che sia semplice attuare il coordinamento di tutti gli organismi internazionali in campo, ma non abbiamo altra scelta che creare i presupposti per arrivare a costruirlo. Per Katrina, credo che il problema sia però anche di altra natura. Lì non parlavamo di paesi del terzo o quarto mondo, come definiscono Haiti. Piuttosto ritengo che non ci sia stata un’adeguata preparazione preventiva per un rischio prevedibile, che, però, non era di semplice attuazione. E questo riguarda anche il nostro Paese: l’antropizzazione diffusa e l’uso dei suoli in modo indebito attanaglia anche la nostra nazione, come pure la insufficiente prevenzione sismica... Sarebbe molto lungo il discorso.
Riguardo alla risoluzione del mancato coordinamento, credo che i paesi industrializzati non possano esimersi dall'organizzarsi per intervenire in aiuto degli altri. Ma anche qui entriamo in un ambito molto spinoso. Su questo la politica deve fare la sua parte. I tecnici ci sono già. Soprattutto in Italia. A l’Aquila si deve fare ancora molto, c’è da ricostruirla, ma l’esperienza maturata in molti anni di intervento ha permesso di mettere in atto, nella primissima fase dell’emergenza, quel coordinamento di cui parlavo, che è poi il carattere distintivo e valido del nostro servizio nazionale della protezione civile.
Specificando, come ovvio, che le tue opinioni non rispecchiano quelle dell’istituzione in cui lavori, una domanda su Bertolaso è d’obbligo. Bertolaso, in riferimento agli interventi ad Haiti ha rilasciato dichiarazioni molto forti, sfociate in una sorta di crisi diplomatica tra Italia e USA… tu stai con Bertolaso? E se sì perché?
Stimo Bertolaso, mi è capitato di lavorarci fianco a fianco in molte occasioni e lo considero una persona valida e competente. L’analisi che fece dell’emergenza Haiti, secondo me, era assolutamente pertinente. Certo la diplomazia conosce ragioni che lui non ha, forse, tenuto in debito conto nell’intervista rilasciata all’Annunziata.
Dico solo che quando lascerà il ruolo che riveste nel Dipartimento della protezione civile, si sentirà la sua mancanza. Io la sentirò.
All’inizio di febbraio, poi, il DPC ha richiesto l’intervento della Regione Marche in termini di logisti, anche volontari, e di medici e infermieri che potessero dare il cambio all’associazione di Pisa per la prosecuzione degli interventi sanitari. La nostra regione ha stipulato una convenzione con l’associazione di volontariato ARES, composta da professionisti sanitari esperti di medicina delle catastrofi ed io sono il funzionario referente per queste attivazioni, di tipo sanitario, in emergenza.
Qual è stato, nello specifico, il tuo compito?
I compiti dei funzionari di protezione civile in emergenza riguardano il coordinamento degli interventi, il raccordo del volontariato con le istituzioni competenti, ma soprattutto spaziano anche sulla base delle specifiche competenze del funzionario e della sua esperienza. Io sono un ingegnere. Noi operatori di protezione civile diciamo, scherzando, che sappiamo spesso per cosa siamo chiamati ad intervenire ma non sappiamo che cosa precisamente dovremo fare. Questo per sottolineare la flessibilità e disponibilità con cui ci viene richiesto di intervenire, naturalmente sulla base di una metodologia di lavoro che contraddistingue il nostro mestiere. In questa emergenza, oltre ad essere l’unico funzionario partito con il team di volontari della Regione Marche per la missione ad Haiti, ho affiancato i vigili del fuoco nella verifica di agibilità di alcuni edifici, ho coordinato il parco mezzi della struttura di missione italiana, ho esercitato il mio francese scolastico quando servivano traduzioni con la gente del posto, ma soprattutto ho studiato una “casetta tipo”, rispondente alle modalità costruttive locali, per aiutare una suora missionaria francescana a migliorare le condizioni di vita degli abitanti della bidonville, ove opera da anni.
Come hai trovato Haiti, come era la situazione dopo il terremoto?
La situazione di Haiti era già grave prima del terremoto. Stavano cercando di insediare un governo, anche con l’aiuto di componenti dell’ONU, ma la situazione economica credo fosse disastrosa. Inoltre il sisma ha distrutto edifici governativi ed amministrativi. La sensazione è quella di avere a che fare con l’anarchia.
Il morale della popolazione? Quali prospettive di ripresa?
La popolazione chiede aiuto ed ha consapevolezza della propria debolezza e miseria, e certo la cultura, la religione, anni di colonialismo e dittatura non li aiutano. La sensazione è di smarrimento.
Tu sei stata in Bangladesh dopo lo tsunami del 26 dicembre 2004, nel 2009 hai partecipato alle attività di soccorso a seguito del terremoto dell’Aquila e sei da poco rientrata da Haiti. Uno dei problemi cronici nella risposta alle catastrofi è il coordinamento degli aiuti e degli interventi. Un problema che si è palesato anche negli USA dopo l’uragano Katrina del 2005. Mi confermi il problema? E se sì come pensi possa risolversi?
Assolutamente sì. Già a seguito dello tsunami del 2004 Bertolaso ed altri esperti avevano sottolineato la necessità di creare un coordinamento a livello internazionale per la risposta alle catastrofi di tale portata. Ad Haiti la mancanza di detto coordinamento, denunciata da Bertolaso nella prima fase dell’emergenza, si è riproposta. Non che sia semplice attuare il coordinamento di tutti gli organismi internazionali in campo, ma non abbiamo altra scelta che creare i presupposti per arrivare a costruirlo. Per Katrina, credo che il problema sia però anche di altra natura. Lì non parlavamo di paesi del terzo o quarto mondo, come definiscono Haiti. Piuttosto ritengo che non ci sia stata un’adeguata preparazione preventiva per un rischio prevedibile, che, però, non era di semplice attuazione. E questo riguarda anche il nostro Paese: l’antropizzazione diffusa e l’uso dei suoli in modo indebito attanaglia anche la nostra nazione, come pure la insufficiente prevenzione sismica... Sarebbe molto lungo il discorso.
Riguardo alla risoluzione del mancato coordinamento, credo che i paesi industrializzati non possano esimersi dall'organizzarsi per intervenire in aiuto degli altri. Ma anche qui entriamo in un ambito molto spinoso. Su questo la politica deve fare la sua parte. I tecnici ci sono già. Soprattutto in Italia. A l’Aquila si deve fare ancora molto, c’è da ricostruirla, ma l’esperienza maturata in molti anni di intervento ha permesso di mettere in atto, nella primissima fase dell’emergenza, quel coordinamento di cui parlavo, che è poi il carattere distintivo e valido del nostro servizio nazionale della protezione civile.
Specificando, come ovvio, che le tue opinioni non rispecchiano quelle dell’istituzione in cui lavori, una domanda su Bertolaso è d’obbligo. Bertolaso, in riferimento agli interventi ad Haiti ha rilasciato dichiarazioni molto forti, sfociate in una sorta di crisi diplomatica tra Italia e USA… tu stai con Bertolaso? E se sì perché?
Stimo Bertolaso, mi è capitato di lavorarci fianco a fianco in molte occasioni e lo considero una persona valida e competente. L’analisi che fece dell’emergenza Haiti, secondo me, era assolutamente pertinente. Certo la diplomazia conosce ragioni che lui non ha, forse, tenuto in debito conto nell’intervista rilasciata all’Annunziata.
Dico solo che quando lascerà il ruolo che riveste nel Dipartimento della protezione civile, si sentirà la sua mancanza. Io la sentirò.
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